Con la sentenza n. 172 del 2014 la Corte costituzionale ha rigettato la questione di legittimità dell’articolo 612-bis c.p. (atti persecutori), sollevata per difetto di determinatezza ex art. 25 comma 2 Cost., ed ha colto l’occasione per ricostruire i tratti caratterizzanti del delitto di stalking.
Nello specifico, la magistratura rimettente riteneva che il legislatore non avesse indicato in maniera sufficientemente precisa il minimum della condotta intrusiva temporalmente necessaria e sufficiente affinché potesse dirsi integrata la persecuzione penalmente rilevante, nè i criteri necessari per stabilire quando il timore ingenerato nella vittima debba considerarsi fondato ai fini dell’integrazione della fattispecie.
Altrettanto vaghe si ritenevano, inoltre, essere le nozioni di “abitudini di vita” e di “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, necessarie per integrare la fattispecie prevista dalla norma.
A questo proposito, la Corte ha ritenuto che «l’esigenza costituzionale di determinatezza della fattispecie ai sensi dell’art. 25, secondo comma, Cost., non coincide necessariamente con il carattere più o meno descrittivo della stessa, ben potendo la norma incriminatrice fare uso di una tecnica esemplificativa (sentenze n. 79 del 1982, n. 120 del 1963 e n. 27 del 1961), oppure riferirsi a concetti extragiuridici diffusi (sentenze n. 42 del 1972, n. 191 del 1970), ovvero ancora a dati di esperienza comune o tecnica (sentenza n. 126 del 1971). Il principio di determinatezza non esclude, infatti, l’ammissibilità di formule elastiche, alle quali non infrequentemente il legislatore deve ricorrere stante la impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a “giustificare” l’inosservanza del precetto e la cui valenza riceve adeguata luce dalla finalità dell’incriminazione e dal quadro normativo su cui essa si innesta» (sentenze n. 302 e n. 5 del 2004)».