Violenza domestica e bigenitorialità: quale spazio per un affido costituzionalmente orientato?

1. Il tema dell’affido dei minori nei casi separazione in cui è esercitata violenza domestica è oggi tra i più controversi, sia tra coloro che si occupano di violenza domestica (magistrati, avvocati, operatori dei centri antiviolenza, assistenti sociali), sia a livello scientifico, tra coloro che si occupano di separazioni traumatiche e maltrattamenti multipli su un piano medico e psicologico.

Ma soprattutto, si tratta di un tema vitale per i soggetti titolari dei diritti coinvolti dalle decisioni giudiziarie sull’affido: bambino o bambini e genitori. La scelta sul tipo di affido infatti incide sull’esercizio di diritti fondamentali per lo sviluppo della personalità del minore: il diritto ad essere educati ed istruiti dai genitori in ogni fase della loro crescita (art. 30 Cost). Il segno lasciato è indelebile e gli effetti di questa decisione si protraggono indefinitamente nel tempo. 

Anche per i genitori ogni momento perso è irrecuperabile: l’esercizio della genitorialità è profondamente toccato dalle modalità di affido e può essere anche fortemente limitato.

Pensiamo al caso di affido super-esclusivo: secondo tale provvedimento, che deve essere debitamente motivato dal giudice, solo il genitore affidatario è titolare del potere di adottare le decisioni di ordinaria e di straordinaria amministrazione riguardanti il o i figli (art. 337 quater, comma terzo, cod. civ.). Il genitore non affidatario, comunque, mantiene “il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse”. L’affido super-esclusivo serve a tutelare il minore, quando uno dei genitori adotta condotte che pregiudicano lo sviluppo della sua personalità.

Pensiamo altrimenti all’affido del minore al servizio sociale, solo diurna o anche in casa residenziale, del minore, che viene allontanato dunque da casa e vede, se e quando consentito, i genitori, in modo completamente diverso dal contesto familiare.

Allo stesso tempo, occorre essere consapevoli che l’affermazione del ruolo genitoriale da parte dei coniugi in fase di separazione si presta molto bene ad essere utilizzato come uno strumento per protrarre l’esercizio della violenza di genere e dei maltrattamenti. 

2. La requisitoria che si commenta è molto rilevante, perché, con uno sguardo nuovo, cerca di affrontare questa delicata questione partendo dai diritti costituzionali del minore: più precisamente, dal suo interesse, che secondo la Costituzione deve prevalere su tutto il resto, compresi gli interessi e diritti dei genitori. L’interpretazione conforme a Costituzione, che utilizza cioè il diritto costituzionale come chiave di lettura delle leggi e dei codici, è in realtà il primo tipo di interpretazione cui il giudice e gli altri operatori devono guardare. Tuttavia, come nell’ambito della parità dei diritti tra donne e uomini (v. in tema M. D’Amico, Una parità ambigua. Costituzione e diritti delle donne, Milano, 2020), questa ottica fatica ad affermarsi anche nell’ambito, più trascurato o complesso (perché ad esempio richiede un approccio multidisciplinare, o perché vi è ancora scarsa specializzazione degli operatori) dei diritti del minore. 

Non è un caso, infatti, che l’art. 30 della Costituzione addirittura anteponga, con un ribaltamento unico nella Costituzione italiana, i doveri ai diritti dei genitori. Come a dire che la genitorialità, prima di essere un diritto, è un dovere, strumentale al benessere del minore, e non viceversa (B. Liberali,  (Prima) il dovere e (poi) il diritto: alla ricerca degli ‘ossimori costituzionali’ nella cura dei figli).

La realtà, dunque, è quanto mai lontana dal mondo, in questo caso ancora solo astratto, del diritto costituzionale. 

3. Se il benessere del minore deve essere il faro, se i genitori prima ancora di diritti hanno doveri verso i figli, come si vede inquadrare il c.d. diritto del minore alla bigenitorialità? 

Se la sicurezza del minore, oltre alla sua serenità, è messa in pericolo da uno dei genitori, il minore stesso deve comunque soggiacere all’obbligo di relazionarsi con lui?

Può la bigenitorialità essere agitata contro il benessere del minore, che è pregiudicato nella sua serenità da uno o da entrambi i genitori? 

Queste le domande al centro della requisitoria che qui commentiamo. 

Il caso riguarda la vicenda che vede un minore affidato al servizio sociale, in un contesto di separazione conseguente a violenza domestica. 

La Sostituta procuratrice della Repubblica di Roma porta le sue argomentazioni a seguito della impugnazione del decreto di affido del minore stesso al servizio sociale da parte della madre, emesso dalla Corte d’Appello di Roma. 

Dal provvedimento si evince che sono pendenti due provvedimenti a carico del padre, per violenze agite sul figlio, e che il bambino ha dichiarato al comandante di stazione delle forze dell’ordine “di essere stato picchiato più volte dal padre (…), ed anche in modo forte, con schiaffi al viso, anche con pugni alle braccia/spalle ogni qual volta gli faceva presente di voler vedere la madre o soprattutto di volerle raccontare qualche fatto accaduto con il padre”.

La requisitoria ricorda che la Corte di Cassazione ha “stigmatizzato la decisione di sottrarre un bambino all’ambiente materno, con il quale il rapporto – indipendentemente dalla ritenuta condotta “alienante” – non presenta altre controindicazioni, per collocarlo, non potendo stabilire un immediato inserimento nell’ambiente familiare paterno, a causa della forte avversione manifestata al riguardo dal minore, in una struttura educativa” (sent. n. 7041/2013). Ancora, ricorda che il giudice di merito deve verificare se le ragioni, addotte da un genitore contro l’altro, per cui il figlio si aliena da lui per influenza dell’ex coniuge, sono vere; e deve inoltre dedicare una specifica attenzione alle ragioni del rifiuto del padre (o della madre) da parte dei figli. 

Posto che tali verifiche sono state completamente assenti nel caso di specie, secondo quanto afferma la Sostituta Procuratrice, la requisitoria pone in evidenza come il collocamento del minore presso i servizi sociali ne violi, da un lato, il diritto a stare con la madre, idonea a svolgere il suo ruolo genitoriale e vittima a sua volta di violenza domestica, e, dall’altro, il diritto all’habitat domestico, da intendersi come “da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita famigliare”, essenziale per il suo armonico sviluppo.

Al di là della puntuale e completa enumerazione delle norme nazionali e internazionali rilevanti per la tutela del superiore interesse del minore, che si ritengono nel caso di specie vanificate dall’affido del bambino al servizio sociale (tra cui la Convenzione di Istanbul[1] e il c.d. “codice rosso”, laddove richiede un coordinamento tra giudizio civile e penale, mai avvenuto nel processo in esame), la requisitoria su un piano costituzionale è interessante, perché mette opportunamente sotto i riflettori la carenza di prove a sostegno della decisione di sradicare il bambino medesimo dal suo ambiente domestico e dalla madre. Prima di tutto, vi è una carenza nella tutela del diritto del minore ad essere ascoltato; in secondo luogo, la scelta del giudice di Appello è priva di motivazione su un piano scientifico. Non è, detto altrimenti, provato in alcun modo che il minore sia soggetto ai condizionamenti psicologici della madre, cui manifesta, secondo l’asse portante della decisione impugnata, una “totale adesione”. Tuttavia, ogni decisione giurisdizionale deve essere basata su adeguata motivazione, non potendo soccorrere impressioni o valutazioni generiche o generalizzate, meno che meno quando in gioco c’è la vita, la salute, la sicurezza e la personalità di un bambino. Interessante, a questo riguardo, la citazione della sentenza della Corte costituzionale sul reato di plagio, n. 96 del 1981: proprio perché il reato di plagio (inteso come totale assoggettamento psicologico di un soggetto verso un altro) non era “effettivamente accertabile dall’interprete in base a criteri razionalmente ammissibili allo stato della scienza e dell’esperienza attuale”, tale fattispecie criminosa è stata dichiarata incostituzionale. 

Se il plagio non ha cittadinanza costituzionale nel diritto penale, anche la totale adesione del figlio alla madre, priva di prove e riscontri, deve essere accantonata come elemento che possa guidare la scelta sull’affido. Devono invece rilevare le dichiarazioni alle forze dell’ordine e le risultanze dei procedimenti penali per violenza verso il minore. 

Occorre in conclusione osservare come l’impianto argomentativo di questa requisitoria sia ineccepibile su di un terreno costituzionale, sia a livello di merito, che di metodo. È proprio su quest’ultimo versante che si vuole concentrare l’attenzione: non necessariamente l’esito delle pronunce deve essere lo stesso, ma una corretta collocazione della bigenitorialità nell’impianto costituzionale è indispensabile, così come è indispensabile una corretta prova e motivazione delle decisioni che incidono sui diritti. La vita, salute, diritto all’habitat domestico, del bambino, non possono essere sacrificati dinanzi ad un’idea astratta e meccanica di famiglia, necessariamente composta da entrambi i genitori, che è in realtà nemica dei diritti del minore. Tale sacrificio può essere talvolta inconsapevole, in quanto legato ad una concezione di famiglia frutto di una radicatissima coscienza sociale, oppure ad una visione ideologica di famiglia, piegata dagli interessi di uno dei due genitori. Proprio per questo, al centro vi deve essere il minore, con la sua voce, e i fatti e le risultanze scientifiche, a patto che possano essere esaminate dal giudice in modo oggettivo.  


[1]All’art. 31, in particolare, “dove impone di escludere non solo l’affidamento condiviso, ma anche qualunque contatto autore – vittima, nel caso in cui emerga una forma di violenza tra quelle previste dalla Convenzione medesima”.

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