Cass. pen., sez. VI, 19/7/2017, n. 35673

La Corte di Cassazione ha negato la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia nell’ipotesi in cui l’uomo maltrattante non sia più il coniuge convivente della donna maltrattata. In tale eventualità deve applicarsi la fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p. (reato di atti persecutori). In particolare, nella pronuncia in questione si legge: «al di là della lettera della norma incriminatrice (“chiunque”) il reato di maltrattamenti familiari è un reato proprio, potendo essere commesso soltanto da chi ricopra un “ruolo” nel contesto della famiglia (coniuge, genitore, figlio) o una posizione di “autorità” o peculiare “affidamento” nelle aggregazioni comunitarie assimilate alla famiglia dall’art. 572 c.p. (organismi di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, professione o arte). Specularmente il reato può essere commesso soltanto in pregiudizio di un soggetto che faccia parte di tali aggregazioni familiari o assimilate. Il reato di atti persecutori è un reato contro la persona e in particolare contro la libertà morale, che può essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia “reiterati” (reato abituale) e che non presuppone l’esistenza di interrelazioni soggettive specifiche».