Cass. pen., sez. III, 26/02/2020, n. 7590

«La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell’individuo che riceve tutela nella proclamazione della inviolabilità assoluta dei diritti dell’uomo, riconosciuti e garantiti dalla Repubblica in ogni formazione sociale, come prevede l’art. 2 Cost., e nella promozione del pieno sviluppo della persona che la Repubblica assume come compito primario secondo l’art. 3 Cost., comma 2, comporta la libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali in modo assoluto e incondizionato che non incontra limiti derivanti dal diverso contesto culturale».

In particolare, nel caso di specie, all’imputato venivano contestati i reati di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia e sottrazione di persona incapace, di cui rispettivamente agli artt. 572, 609-bis e 574 c.p. 

L’imputato, di origini pakistane, poneva in essere abitualmente plurime condotte illecite (tra cui, violenze di natura fisica e psicologica, minacce ed ingiurie) a danno della moglie e dei figli e, in sede di giudizio, avanzava la scriminante “culturale” per la gran parte delle accuse a lui contestate. Con specifico riferimento alla sussistenza del reato di violenza sessuale, la Suprema Corte precisa, da una parte, che non è possibile operare valutazioni di carattere “aprioristico”, ma è necessario prendere in esame le sole circostanze oggettive e soggettive in concreto realizzate, dall’altra, che «è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psicofisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario né l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti».