Con la presente, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso presentato dall’imputato avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino adducendo come motivo dello stesso il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta credibilità della persona offesa.
Nel caso di specie, la donna aveva descritto un uomo spesso dedito a comportamenti prevaricatori nei suoi confronti tanto da indurla in più occasioni a lasciare il lavoro o a comportarsi nei modi che il medesimo imponeva.
In alcune occasioni era esploso in eccessi di rabbia dimostrandosi violento nei fatti e nelle parole e, anche dopo l’affidamento del figlio, non aveva abbandonato le sue condotte, sfruttando un telefono cellulare, dalla donna acquistato per la comunicazione tra padre e figlio, come veicolo per ulteriori condotte di maltrattamento.
La Corte ribadisce come, in materia di reati sessuali, la deposizione della persona offesa si configura, nel vigente ordinamento processuale, come “prova piena”, come tale non necessitante di alcun elemento di riscontro.
Rileva altresì come le incongruenze nei comportamenti della ricorrente (frazionamento nel tempo delle denunce; richiesta di affido condiviso) rispetto alla descrizione da lei stessa data dell’imputato, “a fronte di un quadro probatorio così granitico, e sostanzialmente non contrastato dal ricorrente” non potessero ritenersi rilevanti.
La descrizione è stata redatta dalla studentessa Federica Fumagalli.