Questa vicenda prende inizio dalla richiesta di una donna, cittadina albanese, di ottenere il riconoscimento della protezione internazionale di cui all’art. 4 d.lgs. 25/2008.
La richiesta segue ad una fuga dal proprio paese di origine in quanto costretta ad un matrimonio combinato con un uomo molto più grande di lei (prassi frequente in quei posti dell’Albania che applicano il Kanun). Dopo il suo rifiuto, inizia una vicenda lunga di violenze, fisiche e verbali.
La Corte esamina differenti aspetti di contraddittorietà della motivazione della sentenza del Tribunale. Richiamando la propria giurisprudenza, nonché fonti le fonti in tema di violenza di genere e protezione internazionale, ricorda che la fattispecie posta alla base della richiesta di protezione internazionale non può qualificarsi quale semplice “vicenda endofamiliare”, integrando, invece, un’ipotesi di violenza di genere.
Nel cassare il provvedimento e rinviarlo al Tribunale, richiama alcune sentenze precedenti in qui si statuisce che la costrizione al matrimonio costituisce una forma di violenza di genere. Si punta l’attenzione anche sulla Convenzione di Istambul, che dedica un capo alle donne migranti e richiedenti asilo sottolineandone la forte esposizione alla violenza.
La descrizione è stata redatta dalle studentesse Alice Paina e Elisa Pignanelli.